Dopo 13 anni resta senza colpevoli l’omicidio di Michele Pellizzieri, il 32enne freddato in un agguato mafioso il 5 ottobre 2012 tra le bancarelle del mercato rionale di piazza Di Vittorio, a Barletta. Il gup del Tribunale di Bari, Francesco Rinaldi, ha assolto i tre imputati “per non aver commesso il fatto”, accogliendo la linea difensiva e respingendo la richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che aveva invocato condanne a 30 anni di reclusione.
Pellizzieri fu colpito da tre proiettili – alla scapola, all’omero e alla clavicola – uno dei quali perforò un polmone. Morì diciannove giorni dopo l’agguato, il 24 ottobre 2012. Al momento del delitto si trovava nei pressi di un bancone della frutta, nel suo primo giorno di affidamento in prova ai servizi sociali, dopo un periodo in carcere per precedenti penali.
Cinque anni più tardi, nel 2017, furono arrestati quattro uomini: Giuseppe Cirino, 37enne foggiano, indicato come presunto esecutore materiale, e tre barlettani considerati i mandanti – Ruggiero Lattanzio, 64 anni, noto come “Rino non lo so” (ucciso a sua volta in un agguato nel 2019), Luigi Marchisella, 53 anni, e Pasquale Lattanzio, 49 anni, successivamente divenuto collaboratore di giustizia. Secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, quella mattina Ruggiero e Pasquale Lattanzio raggiunsero la vittima e la presero sotto braccio per indicare a Giuseppe Cirino, anch’egli sul posto, il bersaglio da colpire. Ad organizzare il piano di fuga dal luogo del delitto sarebbe stato, invece, Luigi Marchisella. Fu lui, secondo gli inquirenti, ad avvisare con una telefonata un altro componente del gruppo criminale, Sabino Grossale, perché raggiungesse il killer sulla litoranea di Ponente e lo aiutasse a raggiungere un posto più sicuro. Un mese e mezzo dopo, Grossale venne ucciso a Canosa di Puglia al termine di una lite con un altro pregiudicato. Pellizzieri sarebbe stato eliminato perché d’intralcio agli affari illeciti del gruppo criminale.
Già nella fase cautelare le accuse si erano, però, indebolite: la Cassazione aveva annullato le ordinanze di custodia per carenza di gravi indizi, sottolineando l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia su cui si basava l’inchiesta. Nel 2018 il processo è ripartito con rito abbreviato, durando quasi otto anni, nel corso dei quali sono state ascoltate numerose testimonianze, inclusi nuovi pentiti che hanno offerto versioni alternative.
Ora, con l’assoluzione piena di tutti gli imputati, il caso resta irrisolto.



