Il parroco di Noci, Don Nicola D’Onghia, indagato per omicidio stradale e omissione di soccorso per la morte della 32enne Fabiana Chiarappa, travolta e uccisa la sera del 2 aprile scorso, “non ha mai agevolato, ma ha anzi di fatto ostacolato la ricostruzione della dinamica del sinistro, resa possibile solo grazie all’acquisizione dei filmati provenienti dalle telecamere di videosorveglianza, all’incrocio dei dati dei tabulati telefonici e alla prova scientifica”. È quanto scrive il Tribunale del Riesame di Bari nelle motivazioni dell’ordinanza con cui il 19 maggio scorso ha sostituito gli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora per il sacerdote. Secondo quanto ricostruito dalle indagini il prete, a bordo della sua auto, avrebbe investito la soccorritrice del 118, che si trovava sull’asfalto dopo essere caduta poco prima con la sua moto, provocandone la morte, e sarebbe andato via senza prestare soccorso. Nicola D’Onghia, che il giorno dopo si è presentato spontaneamente dai carabinieri, ha sempre sostenuto di non essersi accorto di aver travolto una persona, ma di essere convinto di aver impattato contro una pietra, e per questo in seguito si sarebbe fermato in una vicina stazione di servizio per controllare i danni e dove sarebbe restato per 45 minuti Tuttavia, per i giudici, quelle dichiarazioni sono state “assolutamente inutili in ottica investigativa”. L’essersi presentato spontaneamente in caserma viene giudicato “irrilevante”, perché – si legge nel provvedimento – il prete “probabilmente cominciava a sentirsi braccato dalle prime indagini che stavano orientando gli inquirenti verso la sua autovettura”. Secondo quanto ricostruito dalle indagini dei carabinieri, coordinate dal procuratore aggiunto Ciro Angelillis e dalla pm Ileana Ramundo, il prete stava usando il telefono, come risulta anche dai tabulati telefonici, fino a pochi secondi prima dell’impatto.