Cronaca

Usura ed estorsioni ad Andria, è il giorno delle parti civili e delle richieste del pubblico ministero davanti al Tribunale di Bari

Si discute sull’ammissione delle parti civili, Ordine degli Avvocati BAT, Comune di Andria e Ministero, ed arriveranno anche le richieste dei pubblici ministeri. Si è tornati in aula questa mattina, presso il Tribunale di Bari, per il processo con giudizio immediato nei confronti di sei indagati nell’ambito di una inchiesta che riguarda le accuse di estorsione, tentata e consumata, e di usura con l’aggravante del metodo mafioso ad Andria.

Alle battute finale, dunque, il primo grado di giudizio dell’inchiesta che ha visto tra settembre ed ottobre dello scorso anno arresti di alcuni esponenti del clan Pesce di Andria. Questa mattina l’udienza davanti al gup del Tribunale di Bari Ronzino. Il processo vede alla sbarra i fratelli Oscar Davide e Gianluca Pesce, rispettivamente di 34 e 36 anni, entrambi in carcere dal 29 settembre scorso. A processo anche Michela Altomare Caldarone, 28 anni, Giuseppe Loconte, 22 anni, Nicolas Nicolamarino, 32enne, e l’avvocatessa Tiziana Favullo, 50 anni. Le accuse di estorsione e usura con metodo mafioso arrivano dal pm della Direzione Distrettuale Antimafia, Daniela Chimienti.

Il primo episodio contestato è quello relativo alla presunta estorsione ai danni di un agente della Polizia Locale, andriese ma in servizio a Barletta, coinvolto in un sinistro stradale con Michela Altomare Caldarone, compagna di Oscar Davide Pesce. Quest’ultimo avrebbe minacciato il vigile urbano costringendolo a riparare a sue spese l’auto della donna, senza presentare denuncia all’assicurazione. Quanto all’avvocatessa Favullo, l’episodio chiave sarebbe un presunto prestito usuraio che i Pesce avrebbero concesso ad un giovane commerciante. A fronte di un debito iniziale di 23mila euro il giovane avrebbe dovuto restituirne quasi il doppio dopo appena un mese. Motivo per cui la madre del giovane, preoccupata per le minacce indirizzate al figlio, si rivolse proprio all’avvocatessa indagata che nel frattempo stava curando per conto suo la pratica relativa alla vendita di un immobile. Secondo l’accusa la civilista organizzò nel suo studio un incontro con il clan Pesce con l’obiettivo di dilazionare il pagamento e dimostrare – sempre secondo quanto emerso dalle indagini – che grazie alla vendita di quell’immobile la donna avrebbe potuto saldare il debito del figlio. L’avvocatessa Favullo, in sede di interrogatorio, ha sempre respinto le accuse sostenendo di essere estranea ai fatti.

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