Reclutavano manodopera nei ghetti dei migranti di tutto il Foggiano. Braccianti sfruttati nei campi anche per più di 11 ore al giorno, in cambio di compenso inferiore ai 4 euro l’ora. A spezzare le catene di questa moderna schiavitù ci hanno pensato i Carabinieri che, questa mattina, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 5 persone, su ordine della Procura di Foggia. In due sono finiti in carcere, uno a domiciliari mentre per altri due soggetti è stato disposto l’obbligo di dimora.
L’ultimo atto dell’inchiesta denominata “Job & Pay”, che ha fatto luce sulle attività di caporalato nelle campagne della provincia di Foggia. Le indagini sono partite a seguito di un incidente stradale, avvenuto nell’ottobre del 2020, e nel quale era rimasto coinvolto un furgone con a bordo cinque braccianti agricoli di etnia africana.
L’attività investigativa, condotta dai militari, ha permesso di scoprire quello che di fatto era un vero e proprio sistema che prevedeva l’utilizzo e lo sfruttamento di manodopera, prevalentemente straniera, senza rispettare le norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il reclutamento dei braccianti spettava ad un caporale senegalese che, approfittando dello stato di bisogno di molti suoi connazionali, li portava nei campi. Suo era anche il compito di sorvegliarli, imponendo loro turni di lavoro massacranti, che arrivavano anche a 11 ore giornaliere, senza riposi settimanali, senza alcuna differenza fra giorni feriali e festivi, e senza pagare straordinari. Ciascun migrante percepiva una retribuzione a cottimo tra i 3.70 e i 4 euro per ogni cassone di pomodori raccolto oppure una retribuzione oraria di 4 euro.
Un giro di sfruttamento che aveva alle spalle quattro aziende agricole del Foggiano, che mettevano a disposizione dei braccianti alcuni capannoni, adibiti a veri e propri dormitori aziendali, con servizi igienici inadeguati, vaste aree di muffa maleodorante, e con allacci idrici ed elettrici abusivi. Qui i migranti tornavano dopo una giornata di lavoro nei campi, vivendo in condizioni disumane.
Per garantire un’apparente cornice di legalità, venivano prodotti documenti falsi al fine di attestare l’avvenuta formazione dei lavoratori e traendo così un ulteriore profitto economico.
Nel corso dell’operazione, sono stati sequestrati beni per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro nei confronti delle aziende coinvolte, con un fatturato annuale di circa 1 milione di euro.