“Quel fuoco continuerà a bruciare i nostri giorni”: sono le parole composte da Michele Marmo in una canzone scritta all’indomani dell’efferato delitto di Graziella Mansi, la piccola andriese che il 19 agosto del 2000 fu adescata, violentata e bruciata da un branco di cinque giovanissimi. Ed in effetti è un indimenticabile incubo quello che si riaccende il diciannove agosto anche 23 anni dopo quella orrenda pagina di cronaca nera che portò il castel del monte sui quotidiani nazionali ed internazionali e non per la bellezza del misterioso maniero federiciano: all’ombra delle sue torri Graziella era stata attirata in una trappola, nei boschi circostanti, straziata di violenza e poi, nel tentativo di distruggere ogni traccia del vile delitto, data al fuoco. Che invece si spense lasciando ai soccorritori, alle forze dell’ordine, alle troupe televisive, ai tanti volontari che si erano adoperati per la ricerca di quella bimba di otto anni una scena raccapricciante attorno al volto candido di quella creatura.
Fu, secondo i giudici, Pasquale Tortora ad attirare Graziella mentre si rifocillava di acqua alla fontanella ai piedi del castello poco lontana dalla bancarella di souvenir del nonno Vittorio. Con Tortora, Michele Zagaria, Domenico Margiotta, Giuseppe Di Bari e Vincenzo Coratella, tutti tra i 18 e i 20anni sono stati ritenuti responsabili di quel delitto e per questo condannati: Coratella si è sempre professato innocente e non resse il peso di quell’onta togliendosi la vita nel carcere di Lecce nel 2008. L’avvocato penalista Carmine di Paola ha ribadito in tempi recenti ed anche in un suo libro, la convizione che ogni colpa sia di Tortora e che gli altri abbiano pagato e stiano ancora pagando pene ingiuste o quantomeno eccessive
Anche oggi che il corpo di Graziella Mansi riposa in pace sotto una lapide dignitosa e che posta all’ingresso del cimitero di Andria ravviva il ricordo di quell’orrore che non deve mai essere dimenticato, resta senza risposta l’interrogativo principale: perc