Andrà a giudizio immediato Salvatore Vassalli, il carpentiere di Canosa di Puglia che il 18 dicembre scorso ha ucciso a colpi di pistola il fisioterapista barese Mauro Di Giacomo dopo averlo raggiunto sotto casa sua a Poggiofranco. L’accusa ha ottenuto dal gip l’ammissione del decreto di giudizio immediato, e il processo inizierà il prossimo 5 novembre davanti ai giudici della Corte d’Assise di Bari. L’accusa è di omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione, dall’aver agito con crudeltà, dai futili motivi e dalla minorata difesa, poiché la vittima sarebbe stata impossibilitata a difendersi perché aveva le mani occupate dalle buste della spesa. Vassalli è detenuto nel carcere di Bari dal 16 maggio scorso. La sera del 18 dicembre 2023 il canosino ha atteso il fisioterapista sotto casa in via Tauro, nel quartiere Poggiofranco. Non conosceva il volto di Di Giacomo e quando ha visto un uomo scendere dalla macchina gli ha chiesto se fosse la persona che cercava. A quel punto è partita la discussione degenerata in una colluttazione. Vassalli ha recuperato l’arma dalla sua auto e affrontato Di Giacomo. L’imputato nell’interrogatorio di garanzia ha poi spiegato che il fisioterapista gli avrebbe bloccato la mano che impugnava la pistola e che negli attimi concitati sono partiti i colpi che hanno ucciso il fisioterapista. Vassalli ha parlato di “baraonda”. Movente dell’omicidio – sempre stando a quanto riferito dall’accusa – il risentimento provato da Vassalli nei confronti della vittima, a suo dire responsabile di aver effettuato nel 2019 una manovra fisioterapica sbagliata nei confronti della figlia, che per questo motivo avrebbe subito danni permanenti. Nei confronti del professionista, infatti, era stata avviata una causa civile innanzi al Tribunale di Trani. La difesa dell’imputato punterà a smontare la tesi della premeditazione e dell’aver agito con crudeltà. Alcuni testimoni hanno riferito che Vassalli avrebbe infierito con il calcio della pistola sul corpo esanime di Di Giacomo, circostanza negata dall’uomo. Dopo l’omicidio il canosino ha ammesso di aver smontato pezzo per pezzo l’arma gettando tutto tra Canosa e Cerignola, mentre andava a lavoro nella città ofantina.