Il 7 marzo per la Città di Andria e per gli andriesi non è un giorno come gli altri: siamo nel 1946, da due giorni sono iniziati moti di popolo durati nel complesso quattro giorni. Nel pomeriggio del martedì di carnevale, 5 marzo, l’inizio di una tragedia conclusasi poi con diversi morti. Ed il 7 marzo forse l’apice dei tumulti con l’uccisione di Luisa e Carolina Porro. Il drammatico pomeriggio contò alla fine anche il ferimento delle altre due sorelle Vincenza e Stefania oltre ad un direttore di banca che aveva trovato rifugio con la sua famiglia nel palazzo Porro. Era un momento drammatico della storia di questo territorio. La guerra, la disoccupazione, la povertà estrema, i braccianti. Un momento della storia andriese che non è stato dimenticato questa mattina a 76 anni di distanza proprio all’esterno di quel Palazzo tristemente teatro di una violenza che portò anche ad un maxi processo con 130 imputati e moltissime condanne tra cui diversi ergastoli.
A scatenare l’ira di popolo fu probabilmente un colpo di fucile. Fu quello una sorta di segnale per l’assalto al Palazzo delle sorelle Porro. Un assalto vero e proprio ai simboli: la famiglia Porro era proprietaria terriera di diversi fondi agricoli. Un assalto che in quelle drammatiche giornate non si riuscì ad evitare nonostante l’intervento costante del Vescovo dell’epoca, Mons. Giuseppe Di Donna (l’unico che riuscì assieme al Prof. Pasquale Massaro a riconoscere i cadaveri delle sorelle Porro ed a darne degna sepoltura dopo una notte lasciate per strada), ma anche l’intervento di Giuseppe Di Vittorio che era in procinto di tenere un comizio in Piazza in quel pomeriggio. Un assalto che ha assunto il carattere del dramma e della memoria collettiva soprattutto a causa della sua brutalità in un contesto in cui le proteste erano sicuramente una delle poche vie per dar voce alla grande emarginazione di questo lembo di sud. Un ricordo ancora vivo nelle parole dei discendenti della Famiglia Porro.