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Pagamenti dei debiti commerciali, male i comuni capoluogo in Puglia: ad Andria una media di 129 giorni

Il 35% delle città capoluogo di provincia italiane ha sforato nel 2022 il limite temporale entro cui dovrebbero essere saldati i debiti commerciali. Ancora molte quindi le amministrazioni pubbliche che sono lontane dall’adeguarsi a quanto disposto dalla norma di riferimento, il decreto legislativo 231 dell’ormai lontano 2002, che prevede che i debiti commerciali debbano essere saldati entro 30 giorni dalla data di ricezione della fattura o richiesta di pagamento. Sono i dati emersi in una ricerca del Centro Studi Enti Locali, basata sugli indici di tempestività dei pagamenti del 2021 e del 2022 e che fotografa una situazione complessa a livello italiano ma “globalmente critica” a livello pugliese.

Unica città virtuosa è Bari mentre tutte le altre sono fuori dai termini legislativi. La situazione più complicata è quella di Andria, dove i pagamenti avvengono mediamente a distanza di 129 giorni dalla richiesta anche se l’ultimo dato del 2022 attesta la città federiciana su circa un centinaio di giorni. In questa speciale classifica c’è tuttavia anche Lecce in difficoltà ed anche in questo caso in una procedura di pre dissesto. Non è stato invece pubblicato l’indicatore 2022 del comune di Brindisi. I casi limite, in negativo, sono rappresentati dalle regioni Calabria, Campania, Molise e Umbria che hanno il 100% di comuni capoluogo di provincia con tempi medi di pagamento dei debiti commerciali superiori al limite massimo consentito.

Tra i soggetti che stanno da tempo facendo forti pressioni affinché i tempi dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche vengano contratti, c’è anche la Commissione europea che su questo ha avviato una procedura di infrazione inviando lettere di costituzione in mora alla Grecia e all’Italia per la non corretta attuazione della direttiva sui ritardi di pagamento. La Commissione ha evidenziato come le lungaggini abbiano ”effetti negativi sulle imprese in quanto ne riducono la liquidità, ne impediscono la crescita, ostacolano la loro resilienza e potenzialmente vanificano i loro sforzi per diventare più ecologiche e più digitali”.

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