Si conclude nel peggiore dei modi la vicenda della Vingi Shoes, l’azienda di calzature di Barletta entrata in crisi lo scorso anno e finita alla ribalta mediatica per le proteste pubbliche degli ormai ex dipendenti. Dinanzi ai cancelli dello stabilimento di via dell’Euro, i lavoratori avevano manifestato chiedendo certezze sul loro futuro, dopo aver appreso della vendita del capannone che ospitava le attività produttive.
Nonostante i tentativi di salvataggio e l’intervento della task force regionale per l’occupazione, la Vingi Shoes è stata infine costretta a dichiarare fallimento. La Guardia di Finanza, su disposizione del GIP del Tribunale di Trani, ha eseguito nelle scorse ore un sequestro preventivo per equivalente nei confronti dei due imprenditori che guidavano l’azienda, per un ammontare di 1.350.000 euro. Secondo la Procura, tale cifra sarebbe stata illecitamente distratta dal patrimonio aziendale prima del fallimento. Dagli approfondimenti delle Fiamme Gialle è emerso che, nonostante l’ingente esposizione debitoria verso enti pubblici e fornitori, il legale rappresentante e l’amministratore di fatto avrebbero proceduto alla vendita dell’intero complesso industriale, svuotando la società e drenando le risorse derivanti, sottraendole così ai creditori. Accertamenti bancari mirati hanno confermato l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Il sequestro ha riguardato 5 immobili, autovetture, 19 conti correnti, quote societarie, denaro contante, gioielli, orologi di lusso, opere d’arte e oggetti di interesse archeologico, per un valore complessivo pari alla somma distratta. I legali della Vingi Shoes hanno presentato istanza di revisione, che sarà discussa nei prossimi giorni, e garantito che i debiti con gli ex dipendenti saranno saldati.
Un epilogo amaro per una delle realtà produttive più importanti del territorio. Esattamente un anno fa, il 17 ottobre 2024, la vicenda sembrava aver preso una piega diversa. In Regione, durante un tavolo istituzionale convocato dall’assessora alle Crisi industriali Serena Triggiani, venne siglato un accordo tra azienda e sindacati che lasciava intravedere uno spiraglio di salvezza. L’intesa raggiunta avrebbe dovuto garantire la continuità dell’attività produttiva nonostante la vendita dello stabilimento, già ceduto a un nuovo proprietario, e confermava che nessuno dei 96 lavoratori sarebbe stato licenziato almeno fino ad aprile 2025, data di scadenza del contratto di affitto. L’azienda si impegnava inoltre a presentare un piano industriale di rilancio entro dicembre dello stesso anno, con il supporto della task force regionale. Promesse, purtroppo, svanite nel nulla. Oggi, la situazione è radicalmente diversa: dopo il fallimento dell’azienda, i 96 dipendenti sono stati licenziati alla fine del periodo di cassa integrazione. Percepiranno la Naspi, l’indennità di disoccupazione, al massimo per un altro anno.



