La possibilità di ottenere facili guadagni per acquistare borse di lusso e permettersi cene in ristoranti esclusivi, il ruolo predominante esercitato dai social network, l’incapacità iniziale delle tre 16enni di rendersi conto di trovarsi in una situazione di bieco sfruttamento.
Sono alcuni dei principali elementi emersi nelle oltre 130 pagine dell’ordinanza della misura cautelare del Tribunale di Bari nell’ambito del giro di prostituzione minorile scoperto dalla Squadra Mobile del capoluogo pugliese che ha portato all’arresto di 10 persone. Sei di queste, 4 donne e 2 uomini, uno dei quali – il 25enne Nicola Basile – figlio di un poliziotto in servizio a Bari e con precedenti per truffa online, sono finite in carcere con le accuse in concorso di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Nella vicenda sono coinvolti anche alcuni insospettabili, tra cui un imprenditore e un avvocato, entrambi ai domiciliari.
L’inchiesta, com’è noto, è scattata dalla denuncia effettuata nel marzo di due anni fa da una mamma delle tre ragazze coinvolte, disperata per il comportamento della figlia “ribelle” dopo il ritrovamento di un pezzo di hashish e di alcune mazzette da 50 euro in una borsa. La donna ha consegnato successivamente agli agenti quattro screen-shot ricavati dalle storie della figlia sul suo profilo Instagram. In uno di questi si vedevano, come riportato negli atti, “cinque ragazze su un letto mentre stavano consumando una pizza in una struttura ricettiva a Monopoli”. Sulla medesima storia era inoltre presente la caption “Squad Girls”, con il malcelato riferimento all’attività di prostituzione. Non solo. In altre foto erano riconoscibili mani femminili che impugnavano una carta di credito e alcune banconote da 50 euro. I clienti, un paio dei quali erano a conoscenza della minore età delle ragazze coinvolte, accettavano tranquillamente di pagare fra i 100 e i 150 euro. Tariffe non esorbitanti, come ha spiegato il procuratore aggiunto di Bari, Ciro Angelillis: aspetto che rappresenta un’aggravante.
Il magistrato ha inoltre rimarcato come la principale chiave di lettura risieda nella prospettiva di soldi facili per ragazze che spesso non posseggono gli anticorpi per impedire di essere veicolati da amicizie sbagliate all’interno di meccanismi perversi e gestiti da persone senza scrupoli. Una vicenda in cui, inevitabilmente, la questione penale si intreccia a quella sociale, con i social network utilizzati come autentiche vetrine del mercato del sesso, sempre più complicati da controllare da parte di famiglie e più in generale di educatori.