È attesa per il prossimo 14 luglio la sentenza del processo con rito ordinario per la rapina dopo la quale morì Maria Melziade, 75 anni e titolare di una gioielleria, che fu aggredita e derubata a Canosa il 17 novembre 2016. Ieri l’udienza davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Trani in cui le difese degli imputati hanno chiesto l’assoluzione per i propri assistiti. Con rito abbreviato furono condannati in due distinti procedimenti tra il 2018 ed il 2019, rispettivamente a 18, 14 e 10 anni di carcere Gianfranco Colucci ora 28enne, oltre al pentito Lorenzo Campanella ormai 60enne e Francesco Scardi di 52 anni. Per loro l’accusa è stata quella di omicidio preterintenzionale aggravato e rapina. Per il più giovane c’è anche l’accusa di detenzione illegale di arma. Tutti e tre comunque erano già finiti in manette a dicembre del 2016.
Con rito ordinario, invece, sono a processo il nipote della vittima Alfonso Massimiliano Flora con l’accusa di omicidio preterintenzionale e che avrebbe concorso alla rapina come informatore e per cui il pubblico ministero ha chiesto 13 anni e mezzo di carcere. Tre anni, invece, la richiesta per Luigi Catalano ritenuto responsabile di ricettazione per aver acquistato i gioielli rapinati alla vittima. Per la difesa di Flora, nel corso del dibattimento, sarebbe emersa l’estraneità dell’uomo rispetto ai fatti accaduti se non per alcune telefonate con qualcuno degli imputati. Stessa richiesta per Catalano da parte della legale che, nell’udienza di ieri, ha fatto notare come siano emersi degli elementi “inconsistenti e contraddittori”.
Ma nel processo sulla morte di Maria Melziade c’è spazio anche per un’altra rapina in appartamento, commessa questa volta qualche giorno prima e cioè il 3 novembre 2016 ai danni di un anziano di Canosa. La pubblica accusa ha invocato nove anni di reclusione a testa per i canosini Gianfranco Colucci e Francesco Scardi, entrambi già condannati per l’omicidio Melziade.
Stando alle ricostruzioni degli inquirenti della squadra mobile, quel 17 novembre del 2016 la donna e il marito, ex proprietari di una gioielleria nel centro di Canosa ora gestita dalle figlie, erano appena tornati da un viaggio a Milano. Il marito era in garage mentre la signora salì in casa. Aprì la porta ai due rapinatori pensando che fosse stato il marito a suonare il campanello e fu aggredita: immobilizzata con del nastro adesivo, stordita dalle scariche elettriche di un taser, poi picchiata con schiaffi, calci e pugni, fino a restare esanime e sanguinante sul pavimento di casa. Morì in ospedale alcune ore dopo. I rapinatori riuscirono a fuggire con gioielli e denaro.