Cronaca

Scomparsa di Cilli, il giudice nella sentenza: “Omicidio maturato negli ambienti dello spaccio di droga”

L’omicidio di Michele Cilli, il 24enne barlettano svanito nel nulla la notte tra il 15 e il 16 gennaio dello scorso anno, è maturato senza ombra di dubbio negli ambienti dello spaccio di droga e del controllo sulle piazze gestito dal clan Sarcina. È quanto emerge dalle 176 pagine della sentenza emessa dal gup Ivan Barlafante a carico di Dario Sarcina, condannato lo scorso 30 marzo a 18 anni ed 8 mesi di reclusione per omicidio volontario, e di Cosimo Damiano Borraccino, accusato di soppressione di cadavere e favoreggiamento, a cui sono stati inflitti 5 anni ed 8 mesi. A confermare il coinvolgimento di Cilli negli ambienti legati allo spaccio di stupefacenti è stata l’agendina ritrovata nella sua stanza “in cui erano appuntati – scrive il giudice – nomi e cifre riconducibili alla tipica contabilità tenuta nella gestione del traffico di droga”. Secondo alcuni testimoni ascoltati dagli investigatori la vittima già tre anni prima della sua scomparsa sarebbe stata minacciata da Sarcina. Nel 2014, ancora minorenne, Cilli ha partecipato all’agguato ai danni di uno dei pusher al soldo del gruppo capeggiato dai Sarcina. Uno sgarro che, secondo il giudice, avrebbe incrinato i rapporti tra Michele Cilli e il suo presunto assassino. Quest’ultimo, si legge ancora nella sentenza, non sarebbe stato in grado di fornire agli inquirenti un solido alibi. Per giustificare le ferite riscontrate alle mani nei giorni successivi alla scomparsa di Cilli, Sarcina avrebbe riferito di una lite con la moglie e di un pugno sferrato ad uno specchio. Dai referti medici invece, emergono lesioni “da taglio, avendo margini netti e profondi” e nessuna estrazione di frammenti di vetro dalle ferite. Il delitto, inoltre, non sarebbe stato programmato quella sera. Sarcina avrebbe agito con dolo intenzionale ma senza premeditazione, approfittando dell’incontro con Cilli in un bar della città e facendolo allontanare con una scusa per condurlo in un box di via Ofanto, usato dal fratello. Qui lo avrebbe ucciso “per poi avvalersi dell’aiuto di Borraccino per disfarsi del cadavere”. Per il gup “la mancata scoperta del corpo del 24enne e le modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo negativo la condotta contestata a Sarcina esaltandone la capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione e infine, l’efficacia nella soppressione del corpo”. Per entrambi gli imputati, giudicati con rito abbreviato, gli avvocati difensori hanno annunciato ricorso in appello.

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