Cronaca

Usura ed estorsioni del clan Pesce di Andria, sei arresti: ai domiciliari l’avvocatessa che fece da tramite con gli affiliati

Secondo atto dell’inchiesta, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, sugli episodi di estorsione e usura, con metodo mafioso, che vedono come protagonisti alcuni esponenti di spicco del clan Pesce di Andria. Sei persone sono state arrestate, nel corso di un’operazione condotta dagli agenti delle Squadre Mobili di Bari e BAT, a seguito delle ordinanze di custodia cautelare, in carcere ai domiciliari, firmate dal Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta della DDA. Le accuse sono, a vario titolo e in concorso, di estorsione, tentata e consumata, ed usura, oltre che di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di pistola.

Cinque degli attuali indagati erano già stati sottoposti a fermo, per gli stessi reati, lo scorso 29 settembre, e si trovavano già in carcere o agli arresti domiciliari. Si tratta dei fratelli Gianluca e Oscar Davide Pesce, di 36 e 34 anni; la fidanzata di quest’ultimo, Michela Altomare Caldarone, 28 anni; e poi Giuseppe Loconte e Nicolas Nicolamarino, di 21 e 31 anni. La sesta indagata, finita ai domiciliari, è una avvocatessa 50enne di Andria, accusata di aver fatto da tramite tra la madre di un commerciante, vittima di usura, e gli stessi fratelli Pesce, per ottenere da questi una dilazione di pagamento nella restituzione del denaro.

Sono due, in particolare, gli episodi contestati dalla DDA, riferiti al periodo compreso tra maggio e settembre 2023. Il primo è quello relativo ad una estorsione ai danni di un rappresentante della Polizia Locale, coinvolto in un sinistro stradale con la fidanzata di Oscar Davide Pesce.  A fronte di ciò, l’agente, pur avendo solo una parte della colpa, era stato costretto con intimidazioni a riparare la macchina della ragazza, pagando il danno di tasca propria e senza rivolgersi all’assicurazione.     

Il secondo episodio riguarda invece un caso di usura, che ha visto come vittima un commerciante che, a fronte di una richiesta iniziale di denaro di circa 23mila euro, in pochi giorni, si era ritrovato a dover restituire ai Pesce la somma di 40mila euro.

È a questo punto, secondo l’accusa, che sarebbe entrata in gioco l’avvocatessa, che avrebbe fatto da intermediaria tra la madre del commerciante e gli usurai, nel tentativo di ottenere da questi una dilazione di pagamento. La richiesta di restituzione del prestito, con cifre più che raddoppiate, sarebbe stata accompagnata da minacce e violenze che i Pesce avrebbero esercitato anche sui più stretti familiari della vittima.

L’avvocatessa, secondo quanto riferito dagli inquirenti, pur essendo a conoscenza della caratura criminale delle persone coinvolte e della natura estorsiva della loro richiesta, avrebbe favorito un incontro tra le parti, convocandole nel suo studio per discutere della dilazione, e attribuendosi addirittura i meriti della buona riuscita dell’accordo. 

Questo episodio, così come il primo, sarebbe avvenuto in un clima di assoluta omertà, con le vittime che, in entrambi i casi, hanno preferito non denunciare per paura di ritorsioni. Un silenzio grazie al quale, come sottolineato dalla DDA, il clan ha potuto imporre e radicare il suo potere mafioso sul territorio.

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