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Bari, festa a metà: la categoria è salva ma il braccio di ferro con la proprietà è appena iniziato

Finalmente, la Bari del pallone ha potuto risvegliarsi con il sorriso. Un sorriso sereno, rilassato, disteso. Il sorriso di chi sa di averla scampata davvero per un pelo. La vittoria di Terni, nel ritorno dei playout per la salvezza in Serie B, verrà ricordata per sempre come la miglior partita di una stagione fino al giorno prima sciagurata, da tutti i punti di vista. Una stagione cominciata con un non-ritiro, con mezza squadra sul piede di partenza e l’altra metà che sarebbe arrivata sul finire del calciomercato, senza uno straccio di amichevole estiva e la fortissima sensazione che il campionato sarebbe stato tutt’altra storia rispetto alla cavalcata dell’anno precedente. Una stagione proseguita tra moltissimi bassi e pochi alti, con ben quattro allenatori avvicendatisi sulla panchina dei biancorossi, e il cui destino è stato deciso dal plenipotenziario direttore sportivo Ciro Polito, con il benestare del presidente Luigi De Laurentiis. Una stagione disastrosa, che ha visto i pugliesi galleggiare sempre fuori dalla griglia playoff, salvo sprofondare dopo febbraio fino a ritrovarsi in piena zona rossa. Poi i playout, conquistati grazie alla vittoria sul Brescia negli ultimi 90’, e vinti nella doppia sfida con gli umbri guidati da mister Breda, lo stesso che alla guida del Latina stroncò le ambizioni dei galletti nel lontano 2014, anno della meravigliosa stagione fallimentare. Il calcio dà, il calcio toglie, e oggi, certo, c’è da essere contenti perché il disastro non si è concluso con un dramma sportivo. Ma, allo stesso tempo, a festeggiare si fa fatica, perché non si può dimenticare quanto passato. Non si possono dimenticare le sparate deliranti di Aurelio De Laurentiis, proprietario della Filmauro e patron del Bari, che prima ha definito quella pugliese come la seconda squadra del Napoli, e poi, proprio alla vigilia della sfida di Terni, ha rincarato la dose affermando che senza la famiglia di imprenditori romani trapiantati in Campania, che comunque rimarranno fino al 2028, il Bari è destinato alla mediocrità se non al fallimento. Ma il Bari, è bene che papà Aurelio lo sappia e lo comprenda fino in fondo, non è un gingillo con cui sfiziarsi. Non è un grimaldello da usare per le proprie battaglie personali contro la FIGC. Non è, soprattutto, una piazza che possa considerarsi seconda a nessuno. Il Bari, sia ben chiaro, non può essere ostaggio nelle mani di chi ha dimostrato, con i fatti, quasi di disprezzare una piazza che, fino a prova contraria, ha dato tutto alla famiglia De Laurentiis. A partire dal primo cittadino, fino all’ultimo dei tifosi. Ma la misura, ormai, è colma. Proprio il sindaco, a seguito del delirio in Senato di Aurelio De Laurentiis, ha chiesto a chiare lettere che la società venga ceduta quanto prima, e non c’è dubbio che la stragrande maggioranza dei tifosi auspichi altrettanto. Il giocattolo è ormai rotto irrimediabilmente, la frattura tra tifoseria e società è insanabile. Ed è francamente inutile stare a domandarsi quali siano i programmi sportivi futuri che questa dirigenza proverà a spacciare per tali. Tutto quello che ci si augura è che i De Laurentiis facciano al più presto le valigie, perché Bari ha il sacrosanto diritto di rendersi indipendente, essere ambiziosa, sognare. Bari non può, non deve rassegnarsi all’idea che rimanere in B sia il massimo delle proprie aspirazioni. La rabbia, la voglia, l’attaccamento di capitan Di Cesare, determinante per la permanenza dei biancorossi in Serie B, sono gli stessi sentimenti che ogni singolo tifoso porterà nel cuore da oggi in avanti nella battaglia per la propria maglia, e contro questa o qualsiasi altra società che non reputi Bari quello che realmente è: una piazza di Serie A.

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