Che fine ha fatto l’anima del Bari? Quella che l’anno scorso permetteva alla squadra di Michele Mignani di restare in gioco fino alla fine, di agganciare pareggi e vittorie insperate in pieno recupero e di non porre limiti alla voce “obiettivi”? La domanda, dopo otto giornate di campionato che hanno portato in dote nove punti – l’anno scorso di questi tempi allo stesso punto erano il doppio – e una sola vittoria, sorge spontanea. L’1-1 contro il Como, arrivato sì contro un avversario che aveva vinto le precedenti quattro partite ma in 10 dal 5′ del secondo tempo per la doppia ammonizione a Kone, ha confermato i limiti palesati nelle precedenti uscite: squadra che fa fatica a trovare la via della rete, con sette centri totali, e che ha difficoltà anche a gestire il vantaggio. Anche contro i lariani, come accaduto sette giorni prima contro il Catanzaro, Brenno ha incassato il gol del pareggio a meno di 120 secondi dall’1-0. E nei 30 minuti trascorsi tra l’1-1 di Bellemo e il fischio finale, il portiere avversario Semper è stato praticamente inoperoso. A questo punto chiedersi se tutto passi per l’aspetto squisitamente atletico, tasto spesso battuto da Mignani in questo avvio di stagione, è quantomeno legittimo. I fischi dei 16mila del San Nicola al termine di Bari-Como sono l’upsound che accompagna a una nuova settimana di lavoro. Quella che conduce allo stadio Città del Tricolore di Reggio Emilia, dove Di Cesare e soci tre anni fa persero la B e torneranno sabato prossimo per affrontare la Reggiana. Anche questo incrocio sa di sliding door.