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18 anni fa l’attentato di Nāṣiriya, l’ex carabiniere andriese Riccardo Saccotelli continua la sua battaglia

Ore 10.40 locali, 8.40 in Italia, del 12 novembre 2003, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti alla base italiana dei Carabinieri a Nāṣiriya in Iraq. La deflagrazione, con un effetto domino, fece saltare in aria il deposito munizioni. Il bilancio fù drammatico: 28 morti tra cui 19 italiani, tra Carabinieri, militari e civili e 9 iracheni.

Sono passati 18 anni da quel maledetto giorno e Riccardo Saccotelli, ex Carabiniere andriese, era proprio in quella base quella mattina. Li ha rischiato di morire riportando ferite che ancora oggi segnano la sua vita.

Riccardo, che all’epoca dei fatti aveva 28 anni, da tempo sta portando avanti una battaglia legale per il risarcimento dei danni subiti, ma i suoi sentimenti restano immutati: sofferenza, dolore e soprattutto solitudine. Lo Stato in questi 18 anni non è mai intervenuto e mai mostrato vicinanza istituzionale, nonostante sia stato il più grave attacco subito dall’esercito italiano dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Proprio nella giornata di ieri, tramite l’agenzia di stampa Adnkronos, l’ex carabiniere andriese ha lanciato l’ennesimo appello, questa volta al premier Mario Draghi chiedendo di intervenire, anche contro il parere dell’Avvocatura dello Stato, per risarcire i sopravvissuti di Nassiriya. Quest’oggi, in occasione del 18° anniversario, Riccardo Saccotelli non è stato invitato ad alcuna cerimonia ufficiale, ma è partito comunque alla volta di Roma per incontrare un suo amico-collega, anch’egli sopravvissuto ad una strage impossibile da dimenticare.

«Ricordare, ancora, dopo 18 anni è diventato uno sterile esercizio di inutile retorica di chi davvero non ha altro di più importante da fare – ci scrive Riccardo. Il mio pensiero oggi va a chi ha il coraggio di dimenticare, di lasciar andare, di lasciar perdere. Il tempo che della storia è figlio insegna che le cose già sepolte e dimenticate riaffiorano inevitabilmente – o come dice Didi Huberman – più pericolosamente nelle società contemporanee. Viviamo in una società frenetica, spudorata, senza dignità-perdono-vergogna. Non ha senso oggi ricordare nè chi, nè cosa, nè perché! Non ha senso far testimoniare i testimoni. Abbiamo in questo paese la politica più “corrotta” al mondo capace di testimoniare l’inverosimile e il surreale. Del resto, vuoi che non ci sia qualcuno ansimante che abbia qualcosa di più interessante da dire su bandiere, patrie, ricordo, memoria, sangue arena e blablabla in cambio di un like su Facebook, un selfie o una candidatura in parlamento? Occorre lasciare i freni e lasciarsi andare alla dimenticanza. Occorre adeguarsi ai tempi. Chi ricorda è ormai fuori dal mondo. È medievale. Non siamo forse lo stato in cui il fascismo è morto e la mafia non esiste? Auguro un buon anniversario a chi si unirà con me nel non-ricordo e nella non-responsabilità!».

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