De Benedictis non dice tutto, Tannoia non poteva non sapere. Il ritrovamento dell’arsenale a casa dell’imprenditore andriese Antonio Tannoia che, secondo quanto dichiarato dallo stesso, le conservava nell’interrato della dependance della villa per conto del magistrato molfettese, si inserisce nella più ampia cornice delle indagini che vedono l’ex gip di Bari accusato di corruzione per consentire scarcerazioni facili ai clienti anche mafiosi dell’avvocato Chiariello.
Intanto De Benedictis resta in carcere nonostante una condizione psicofisica che i legali definiscono molto preoccupante, ma secondo il gip di Bari Giulia Proto non sono attenuati i rischi di inquinamento delle prove mentre le dimissioni dalla magistratura fanno decadere la possibilità di reiterazione del reato. L’arcinota passione per la caccia e le armi anche da collezione del magistrato non spiega, né giustifica, la detenzione di mine anticarro, detonatori, bombe a mano e munizionamenti di ogni genere.
La formalizzazione dell’accusa di detenzione illegale di armi dovrebbe arrivare a stretto giro. Ma non convince neanche quanto affermato da Tannoia: De Benedictis gli avrebbe chiesto di conservare le armi da collezione dopo la vicenda del 2010 in cui fu arrestato per possesso di armi illegali. E infatti il giudice avrebbe avuto a disposizione il telecomando per l’accesso alla villa e le chiavi della botola blindata della depandance ma perché Tannoia si è prestato a questo rischiando fino a 15 anni di carcere? Solo per amicizia o con altre finalità? Le rilevazioni scientifiche devono chiarire se quelle armi hanno mai sparato e per cosa venivano usate. Ma Tannoia sapeva o no che tra i pezzi della collezione c’era quel pericoloso materiale esplodente?