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Cronaca

PUGLIA | Il mercato nero dell’arte si trasferisce sugli e-commerce: il report dell’attività dei Carabinieri

In piena pandemia l’e-commerce è esploso anche sul fronte del mercato nero dell’arte.  Beni archeologici, antiquariato, opere sacre o contemporanee, di provenienza illecita, continuano ad alimentare lil business della criminalità. Il bilancio 2020 dell’attività dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Bari fotografa questa realtà. Novanta le persone denunciate per i reati di ricettazione, violazioni in materia di ricerche archeologiche, detenzione di materiale archeologico, contraffazione di opere d’arte, violazioni in danno del paesaggio ed altre tipologie di reati previste dal Codice dei beni Culturali e del paesaggio e dal Codice Penale. 

Nell’arco dei dodici mesi sono stati complessivamente sequestrati 1.329 beni (contro i 531 del 2019), di cui 126 di tipo antiquariale, archivistico e librario, 19 reperti paleontologici, 1.181 reperti archeologici e 3 opere d’arte contraffatte, per un valore economico stimato in 1.530.000 di euro per i beni autentici e di  7.000 euro per quelli contraffatti, qualora immessi sul mercato come originali.

Particolare impulso è stato dato alla tutela delle aree archeologiche. Infatti, il fenomeno che ancora oggi minaccia maggiormente il patrimonio culturale in Puglia e in Basilicata è sicuramente lo scavo clandestino che alimenta un traffico di importanti proporzioni, intorno al quale ruotano enormi interessi economici e commerciali. Da queste due regioni, del resto, gran parte dei reperti archeologici nazionali (spesso di inestimabile valore storico-culturale) vengono trasferiti illecitamentee venduti all’estero. In tale quadro, nel 2020, sono state adottate misure tese all’identificazione sia dei diretti responsabili degli scavi clandestini che dei fruitori dei beni archeologici sottratti dal territorio. Le molteplici iniziative investigative hanno consentito il di deferire 6 persone per il reato di scavo clandestino. Il monitoraggio di siti e-commerce ormai divenuti, come detto, canale preferenziale per la compravendita di arte, ha permesso il recupero di 1.181 reperti archeologici databili IV- II sec. a.C. dei quali 871 monete di natura archeologica e la denuncia alla magistratura di 66 persone per impossessamento e detenzione illecita di beni culturali appartenenti allo Stato.  

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