“Mi occupavo di nascondere i cadaveri, a loro non potevi dire di no. Se rifiutavi, eri destinato a morire”. Sono le choccanti dichiarazioni rese in aula da Francesco Notarangelo, detto Natale, il mattinatese storicamente legato al clan Romito, del quale ha fatto parte per 30 anni. Notarangelo, che ha scelto lo scorso ottobre di pentirsi, ha raccontato il tutto in una delle tranche del processo alla mafia garganica “Omnia Nostra”, in corso in Corte d’Assise a Foggia. L’attuale collaboratore di giustizia ha parlato in videocollegamento da una località segreta. Era – ha spiegato – addetto al bosco, occultava cadaveri e dava ospitalità ai latitanti, oltre a nascondere auto rubate e armi. Nel clan Romito, Francesco Notarangelo ci è entrato nel 1996. Prima occupandosi di contrabbando di sigarette, poi della custodia di armi e di auto e ancora partecipando a rapine e allo spaccio di droga. I soldi dello spaccio li divideva poi col gruppo, a cui capo c’erano i fratelli Franco e Mario Luciano Romito, entrambi morti ammazzati nella guerra di mafia contro il clan Libergolis. Spiegata anche la scelta di collaborare con la giustizia, dettata dal pentimento, dalla voglia di cambiare vita ma anche dal rimorso per la gente del Gargano, che, ha detto, merita rispetto e di non essere più calpestata da chi ha commesso tanti reati.