È stata chiesta l’imputazione coatta per i 55 indagati nell’ambito dell’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza, sui falsi green pass venduti a 350 euro. Così ha deciso il GIP del Tribunale di Lecce, Maria Francesca Mariano, rigettando l’ennesima richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero, e rinviando gli atti alla Procura per formulare l’imputazione. Le persone coinvolte rispondono, a vario titolo e in concorso, di truffa aggravata e falso.
Base operativa della presunta truffa era la città di Taranto ma le certificazioni fasulle venivano spedite in tutta Italia, in particolare in Veneto e Lombardia.
L’attività illecita, secondo quanto emerso, ruotava attorno ad un’operatrice del 118 di Taranto che, previo compenso, durante la pandemia, rilasciava falsi green pass senza che il richiedente si fosse sottoposto alla vaccinazione anti Covid.
Il pagamento avveniva su di una carta prepagata, sulla quale in due anni sarebbero stati versati oltre 50mila euro. Una somma che, secondo gli inquirenti, era assolutamente incompatibile con i redditi da lavoro della soccorritrice. Il sistema si avvaleva anche di un’operatrice socio-sanitaria, che aveva il ruolo di cassiera, e di un dipendente della ASL tarantina, che registrava le false vaccinazioni.
Il PM aveva chiesto l’archiviazione per mancanza di prove del presunto utilizzo dei falsi certificati, aggiungendo una serie di considerazioni sull’autodeterminazione dei singoli di non vaccinarsi e sullo stato di necessità. Ma il giudice ha rigettato tale richiesta, sostenendo che “fornire certificazioni false durante l’emergenza Covid era ai limiti della procurata strage e del contagio doloso”.