Scacco matto alla mafia garganica. L’operazione “Mari e Monti”, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ha portato all’arresto di 37 persone, tra cui una donna, con l’accusa di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione, reati in materia di armi e vari delitti minori. Altri due indagati sono stati posti agli arresti domiciliari. Tutti componenti del clan Li Bergolis, definito dagli investigatori “la più allarmante criminalità pugliese” che aveva messo radici nell’area di Monte Sant’Angelo espandendosi fino a Vieste e portando allo scioglimento, oltre che del Comune di Monte Sant’Angelo, anche di quello di Mattinata e Manfredonia. Complessivamente, agli indagati sono stati contestati 48 capi di imputazione, che includono un’associazione mafiosa (coinvolgendo 25 indagati), due associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti (una con 11 indagati e l’altra con 10), 21 reati legati agli stupefacenti, 11 episodi estorsivi, 5 reati in materia di armi e diversi altri delitti tra cui rapina, furto aggravato e ricettazione. Il valore complessivo dei beni sequestrati nell’ambito dell’operazione ammonta a circa 10 milioni di euro. Le indagini hanno permesso il sequestro, nel tempo, di un ingente quantitativo di armi, tra cui 11 fucili, 9 pistole, 3 ordigni esplosivi e 10 kg di materiale esplosivo, insieme a 636 munizioni. In ambito di stupefacenti, sono stati sequestrati 1674 kg di marijuana, 1,3 kg di cocaina, 1 kg di eroina e 3 kg di hashish. Inoltre, sono state analizzate 160 pronunce giudiziarie e 26 procedimenti penali collegati, con il supporto di 33 interrogatori resi da 18 collaboratori di giustizia, e sono state effettuate 75 intercettazioni telefoniche, 53 intercettazioni ambientali e 16 intercettazioni di colloqui in carcere.
Uno degli aspetti più rilevanti dell’attività criminale del clan Li Bergolis è è stata la sua feroce contrapposizione armata con il clan Romito-Lombardi-Ricucci, che ha provocato 21 omicidi e 18 tentati omicidi e culminata nella strage del 9 agosto 2017 ad Apricena, durante la quale furono brutalmente assassinati due contadini innocenti. Le indagini hanno documentato come il clan Li Bergolis abbia rafforzato la propria rete criminale attraverso un’organizzazione territoriale articolata in cellule autonome, ma tutte sotto una leadership verticale. Una caratteristica peculiare del clan è stata la sua capacità di reclutare giovani leve, spesso minorenni, attraverso un percorso di tutoraggio che prevedeva l’impiego di questi ragazzi in reati minori per saggiarne l’affidabilità. L’indagine ha inoltre messo in luce la sorprendente capacità del clan Li Bergolis di mantenere la propria operatività anche in regime di detenzione. Nonostante l’applicazione di misure di “alta sicurezza”, i vertici dell’organizzazione sono riusciti a mantenere contatti costanti con l’esterno attraverso pizzini, corrispondenza epistolare e l’uso illegale di telefoni cellulari, garantendo la gestione delle risorse economiche e il controllo delle attività criminali, inclusi il traffico di droga e il sostegno economico ai membri incarcerati.