Per affermare il loro potere non avevano timore di niente e di nessuno, neanche di intimidire un rappresentante delle Forze dell’Ordine. È la trama del romanzo criminale andriese scritto da uno dei clan storici della città federiciana: quello dei Pesce-Pistillo. Sono 5 i provvedimenti di fermo emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari nei confronti di alcuni esponenti, anche di vertice, del gruppo malavitoso. Sono accusati, a vario titolo, dei reati di estorsione ed usura, aggravati dal metodo mafioso, oltre che di detenzione di arma. I dettagli dell’operazione sono stati illustrati, questa mattina, in una conferenza stampa organizzata alla Procura di Bari.
L’indagine, condotta dagli agenti delle Squadre Mobili di Bari e BAT e del Sisco, trae origine dall’inchiesta, anche questa coordinata dalla DDA, sul fenomeno dei cosiddetti “sequestri lampo” ai danni di imprenditori della sesta provincia. Dalle intercettazioni eseguite nel corso dell’attività investigativa, è emerso il ritorno sulla scena criminale andriese del clan Pesce, divenuto autonomo rispetto ai Pistillo, pur mantenendo rapporti pacifici con i vecchi soci in malaffari. Un ritorno segnato dalla scarcerazione di alcuni esponenti del gruppo malavitoso, desiderosi di riaffermare il loro potere una volta tornati in libertà.
Due i principali episodi contestati, riferiti al periodo compreso tra maggio e settembre 2023. Il primo relativo ad una estorsione ai danni di un rappresentante della Polizia Locale, coinvolto in un incidente stradale con uno degli indagati. A fronte di ciò, l’agente, pur avendo solo la minima parte della colpa, era stato costretto con intimidazioni a riparare la macchina dell’affiliato, pagando di tasca propria e senza rivolgersi all’assicurazione.
Il secondo vede come protagonisti diversi componenti di un nucleo familiare obbligati, con ripetute violenze e minacce, a saldare il debito contratto da un loro parente con uno degli indagati. Un prestito di circa 28mila euro, triplicato nel giro di pochi mesi.
Nessuna delle vittime ha mai denunciato per paura di ritorsioni da parte del clan che, proprio sull’omertà, aveva radicato la sua forza criminale, instaurando un clima di terrore e soggezione, che cominciava a destare turbolenze anche negli ambienti malavitosi andriesi. Da qui la necessità, da parte degli inquirenti, di procedere rapidamente nei confronti degli indagati, raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal Gip del Tribunale di Trani. Un provvedimento che non scrive la parola fine sulla storia del clan Pesce, sul quale sono in corso ulteriori indagini per verificare il reale raggio d’azione della sua attività criminale, in particolare nel campo delle estorsioni ai danni degli imprenditori andriesi.